Si conclude con un Patteggiamento e un’ammenda da 5000 euro il caso Lautaro Martinez, dopo il “casus belli” della bestemmia al termine di Juventus-Inter: “A seguito dell’accordo di patteggiamento raggiunto dalle parti, il calciatore dell’Inter Lautaro Javier Martinez è stato sanzionato con un’ammenda di 5.000 euro – si legge nella nota della Figc – A carico del calciatore nerazzurro era stato aperto un procedimento per violazione dell’art. 4, comma 1, e dell’art.37 del Codice di Giustizia Sportiva per avere, al termine dell’incontro Juventus-Inter, disputato lo scorso 16 febbraio e valevole per la 25esima giornata del campionato di Serie A, pronunciato per due volte un’espressione blasfema come risulta evidente dalle immagini televisive, di piena garanzia tecnica e documentale”.
Questo getta nuova luce sull’esposto fatto dalla Fondazione Jdentità Bianconera lunedì 17 febbraio scorso: se il procuratore Chinè avesse fatto correttamente il suo lavoro (ricordiamo come, nella stessa giornata avesse fatto pervenire al Giudice Sportivo, entro le ore 16, come previsto dal regolamento, le immagini televisive per squalificare il giocatore della Sampdoria Alex Ferrari, reo di aver bestemmiato una volta espulso dalla gara il giorno prima) non ci sarebbe stato bisogno del nostro intervento. Le immagini televisive erano chiare, come specificato dallo stesso comunicato che dà notizia del patteggiamento e come denunciato dal nostro esposto.
La procedura seguita dalle parti è formalmente corretta, infatti, “prima che il Procuratore federale abbia notificato l’atto di deferimento, i soggetti ai quali è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini possono richiedere, con una proposta di accordo trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata alla segreteria della Procura federale, l’applicazione di una sanzione ridotta o commutata, indicandone il tipo e la misura oppure, ove previsto dall’ordinamento federale, l’adozione di impegni volti a porre rimedio agli effetti degli illeciti ipotizzati”, recita l’art. 126 del Codice di Giustizia Sportiva. Infatti, “La proposta di accordo è trasmessa, a cura del Procuratore federale, al Presidente federale, il quale, entro i quindici giorni successivi, sentito il Consiglio federale, può formulare osservazioni con riguardo alla correttezza della qualificazione dei fatti operata dalle parti e alla congruità della sanzione o degli impegni indicati, anche sulla base degli eventuali rilievi del Procuratore generale dello Sport.”
Perché Chinè non si è mosso subito, come ha fatto nel caso analogo del giocatore sampdoriano? E’ giusto che Lautaro Martinez sia stato in campo nella successiva partita contro il Genoa, segnando anche il gol decisivo? E, soprattutto, è normale che ci siano voluti quasi due mesi per patteggiare, tra l’altro con un’ammenda ridicola, rispetto all’infrazione del regolamento ed agli emolumenti guadagnati dal calciatore, evidentemente e tardivamente reo confesso (non dimentichiamoci che le parti hanno concordato sulla qualificazione dei fatti, il capitano dell’Inter ha bestemmiato, se no non ci sarebbe stato bisogno di patteggiare), nonostante la protestata innocenza?
Viene, pertanto, legittimamente da chiedersi per quale motivo non siano state fornite le evidenti prove video al Giudice Sportivoentro il lunedì susseguente la partita e se tale patteggiamento sia stato concertato in occasione della famosa cena tra Gravina e Viglione da una parte e Marotta e l’avvocato dell’Inter dall’altra al The Wilde di Milano, in occasione dell’ultima pausa del Campionato per le partite di Nations League.
Questa è stata l’ennesima prova della Giustizia sportiva a due velocità, due pesi e due misure, che, alla fine, scontenta tutti: ad eccezione, quale infausta coincidenza, dei soliti che, grazie alla lentezza o miopia del sistema, ne escono perennemente indenni!!
Ma c’è di più: risulta leale la condotta di un calciatore che nega il grave addebito invocando addirittura i propri figli (cfrhttps://www.youtube.com/shorts/7B2D_zAv4qs), nonostante – come riferito nel Comunicato Ufficiale n. 399/AA – il fatto “risulta evidente dalle immagini televisive, di piena garanzia tecnica e documentale”?
Dovrebbe essere stigmatizzata e sanzionata autonomamente proprio la condotta successivamente tenuta, allorquando per rendere credibile la propria tesi di fronte alla pubblica opinione ci si permette di coinvolgere i propri figli e valori sacri come l’educazione e l’esempio: è questo fatto, in sé, a rendere ancor più deplorevole la condotta, non in linea con i doveri di “lealtà (non solo) sportiva” cui un calciatore deve sempre informare i propri comportamenti: non si può simulare in campo, ma men che meno fuori dal campo!
Insomma, illecito (regolamentare) su illecito (etico-comportamentale)!
Come noto, la “ lealtà sportiva” costituisce una clausola generale che si sostanzia, da un lato, in una regola di comportamento oggettivamente valutabile e, dall’altro, in un parametro di legittimità del comportamento in concreto tenuto da ciascun associato e affiliato all’ordinamento sportivo. Proprio il carattere necessariamente ampio ed elastico della clausola generale in esame comporta, sul piano della fattispecie astratta, un’attenuazione dei principi di legalità e tipicità dell’illecito sportivo (cd “principio di indeterminatezza ” dell’illecito sportivo), che richiede l’ individuazione volta per volta, in base alle circostanze del caso concreto, del precetto specificatamente violato (CFA, Sezione I, n. 77/2019-2020), giuridicamente rilevante, al fine di ricostruire la regola comportamentale che si sarebbe dovuta tenere.
A nostro avviso, quindi, il coinvolgimento dei figli per negare un fatto evidente e riconosciuto una volta posto al cospetto della Giustizia Sportiva, avrebbe meritato una ulteriore sanzione, ben più significativa, ai sensi dell’art. 4 del Codice della Giustizia Sportiva, perché, oltre che diseducativo, è assolutamente sleale negare sulla “testa dei propri figli”.



